Martiri Oblati di Spagna
                                                                                Madrid, 1936

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   Il triennio 1936-1939 fu un anno di sangue e di martirio per la Chiesa in Spagna. In quella persecuzione religiosa ci furono migliaia di persone che soffrirono morte violenta, torturati e fucilati esclusivamente perché erano credenti, indossavano una veste o un abito, per essere sacerdoti o religiosi che esercitavano un’attività pastorale nelle parrocchie, nelle scuole o negli ospedali, o per essere laici ferventi, compromessi per la propria fede in Gesù Cristo.
         

Il sacerdote e giornalista Antonio Montero, attualmente arcivescovo emerito, nella tesi per il dottorato Storia della persecuzione religiosa in Spagna documenta una statistica dei 6.835 ecclesiastici sacrificati nella persecuzione: 12 vescovi, 4.172 sacerdoti del clero diocesano, 2.365 religiosi e 283 religiose. Non è stato possibile redigere una cifra approssimativa dei laici cattolici assassinati perché credenti.
È legittimo parlare del martirio in senso proprio e genuino. Così lo fecero ai loro tempi sia i vescovi spagnoli sia lo stesso papa Pio XI. In questa maniera lo ha inteso il buon popolo credente che assistette agli avvenimenti e che aspetta che un giorno lo proclami la Santa Chiesa.

Narrazione sui martiri di Pozuelo
         

In questo clima generale di odio e fanatismo antireligioso si può collocare il martirio di 22 Oblati: padri, fratelli e scolastici, a Pozuelo de Alarcón (Madríd). I Missionari Oblati di Maria Immacolata si erano insediati nel quartiere della stazione di Pozuelo nel 1929. Esercitavano il servizio in qualità di cappellani, in tre comunità di religiose. Collaboravano pastoralmente anche nelle parrocchie vicine: ministero della reconciliazione e predicazione, specialmente in quaresima e settimana santa. Gli scolastici oblati insegnavano catechismo in quattro parrochie e la corale oblata solennizava le celebrazioni ligurgiche.
Quell’attività religiosa cominciò a dare nell’occhio ai comitati rivoluzioniri (socialisti, comunisti e sindacalisti, laicisti radical) del quartiere della stazione. Con grande preoccupazione dimostrarono che “i frati” (così li chiamavano) erano la locomotiva che animava la rita religiosa a Pozuelo e dei dintorni.         
     La comunità religiosa degli Oblati non si lasciò intimidire. Si impegnò e raddoppiare le misure di prudenza, di serenità, di calma, assumendo il compromesso di non rispondere a nessun insulto provocatore. Certamente nessun religioso si immischiò in attività politiche neanche occasionalmente. Ciononostante proseguì il programma di formazione spirituale e intellettuale senza rinunciare alle diverse attività pastorali che facevano parte del programma di formazione sacerdotale e missionaria degli scolastici.
         
     Malgrado le minacce rivuluzionarie sempre più aggressive, i superiori oblati non immaginavano che la situazione diventasse grave. Non passava per la loro testa che un giorno potessero essere vittime di tanto odio a causa della loro fede in Dio. Il 20 luglio 1936 giovani socialisti e comunisti scesero in piazza e provocarono nuovi incendi a chiese e conventi, particolarmente a Madrid. I miliziani di Pozuelo, dalla loro parte, assaltarono la cappella del quartiere della stazione,  portarono in piazza gli ornamenti e le immagini e, improvvisando un’orgia sacrilega, le incendiarono. Incendiarono quandi la cappella e ripetettero la scena nella parrocchia del popolo.
        
     Il 22 luglio, alle tre del pomeriggio, un nutrito contingente di miliziani, armati di fucili e pistole, assaltò il convento. La prima cosa che fecero fu di arrestare i religiosi, erano 38, e rinchiuderli in un locale ristretto sotto stretta vigilanza con la minaccia delle armi. Fu un momento di tensione terribile tanto che tutti credevano fosse arrivata l’ora della morte. Dato l’atteggiamento nervoso, grossolano e scomposto dei miliziani non c’era da aspettare altro.
Subito dopo i miliziani procedettero alla perquisizione minuziosa della casa in cerca di armi. Le sole cose che trovarono furono quadri religiosi, immagini, crocifissi, rosari e vesti sacre. Dai piani superiori, tutto fu gettato lungo il vuoto delle scale al piano inferiore per distruggerlo con il fuoco in mezzo alla piazza.         
     Gli Oblati furono fatti prigionieri in casa propria, messi insieme nella sala da pranzo, le cui finestre avevano le inferriate. Fu la prima prigione.

Prime vittime         

Il giorno 24, circa le tre della mattina, vengono fatte le prime esecuzioni. Senza interrogatorio, nessuna accusa, senza alcun tribunale, senza difesa, chiamaronosette religiosi e li separarono dal resto. I primi condannati furono:
         
          Juan Antonio PÉREZ MAYO, sacerdote, professore, 29 anni.
         
          Manuel GUTIÉRREZ MARTÍN, studente suddiacono, 23.
         
          Cecilio VEGA DOMINGUEZ, studente, suddiacono, 23
         
          Juan Pedro COTILLO FERNÁNDEZ, studente, 22
         
          Pascual, ALÁEZ MEDINA, studente, 19
         
          Francisco POLVORINOS GÓMEZ, studente, 26
         
          Justo GONZÁLEZ LORENTE, studente, 21 
         

Senza nessun tipo di spiegazione furono fatti salire sulle macchine e portati al martirio.
Il resto dei religiosi rimase nella casa e dedicava il tempo di attesa a pregare e prepararsi a ben morire.         
     Qualcuno, probabilmente il sindaco di Pozuelo, comunicò a Madrid il rischio che correvano i restanti e quello stesso giorno 24 di luglio arrivò un camion di guardie di assalto con l’ordine di portare i religiosi alla Direzione Generale di Sicurezza. Il giorno seguente, dopo aver compiuto delle pratiche, inaspettatamente stabilirono di liberarli.

Clandestinità e Calvario a Madrid         

Cercarono rifugio in case private. Provinciale si arrischiava e sviava per dar loro animo e portare la comunione. Però nel mese di ottobre, ordine di ricerca e di cattura, furono arrestati di nuovo e portati in carcere. Soffrirono un lento martirio di fame, freddo terrore e minacce. Alcune testimonianze di sopravvistuti parlano come accettarono con eroica pazienza quella difficile situazione che faceva intravedere la possibilità del martirio. Regnava tra di loro la carità e un clima di preghiera silenziosa.
         
     Nel mese di novembre arrivò la fine di quel calvario per la maggior parte di loro. Il giorno 7 fu fucilato il padre José VEGA RIAÑO, sacerdote e formatore, di 32 anni e il fratello studente  Serviliano RIAÑO HERRERO, di 30. Questi, alla chiamata del carnefice, poté avvicinarsi alla cella del P. Mariano Martín e chiedere l’assoluzione sacramentale attraverso lo spioncino.

La mattanza a Paracuellos         

Venti giorni dopo venne il turno per gli altri tredici. Il procedimento fu lo stesso per tutto, Non ci fu denuncia, né giudizio, né difesa, né spiegazioni; solo la proclamazione dei loro nomi da potenti altoparlanti:
         

          Francisco ESTEBAN LACAL, superiore Provinciale, 48 anni.
         
          Vicente BLANCO GUADILLA, superiore locale, 54 anni.
         
          Gregorio ESCOBAR GARCÍA, sacerdote fresco ordinato, 24 anni.
         
          Juan José CABALLERO RODRÍGUEZ, studente, suddiacono, 24 anni
         
          Publio RODRÍGUEZ MOSLARES, studente, 24 anni.
         
          Justo GIL PARDO, studente, diacono, 26 anni.
         
          Angel Francisco BOCOS HERNÁNDEZ, fr. coadiutore, 53 anni.
         
          Marcelino SÁNCHEZ FERNÁNDEZ, fr. coadiutore, 26 anni.
         
          José GUERRA ANDRÉS, studente, 22 anni.
         
          Daniel GÓMEZ LUCAS, studente, 20 anni.
         
          Justo FERNÁNDEZ GONZÁLEZ, studente, 18 anni.
         
          Clemente RODRÍGUEZ TEJERINA, studente, 18 anni.
         
          Eleuterio PRADO VILLARROEL, fr. coadiutore, 21 anni.
         

Si sa che il 28 novembre 1936 furono fatti uscire dal carcere, condotti a Paracuellos de Jarama e lì fucilati. Uno studente omi che andava su un altro camion legato gomito con gomito al P. Delfin Monje che furono misteriosamente risparmiati vicino al posto dell’esecucione, disse al suo compagno: Padre, mi dia l’assoluzione generale e tu dici l’atto di contrizione che ci arriva alla fine. Il padre, 18 anni più tardi si rammaricava: Che peccato non esser morto allora! Non sono stato mai così preparato!
         
     Non è stato possibile ottenere informazioni di tesimoni oculari sul momento dell’esecuzione di quei 13 servi di Dio. Solo il becchino dichiarò: Sono completamente convinto che il 28 novembre 1936 un sacerdote o religioso chiese alle milizie che gli permettessero di dire addio a tutti i suoi compagni e dar loro l’assoluzione, grazia che gli fu concessa. Una volta che ebbe terminato, pronunziò ad alta voce queste parole: “Sappiamo che ci uccidete perché siamo cattolici e religiosi. Lo siamo. Tanto io come i miei compagni vi perdoniamo di cuore. Viva Cristo Re!”. C’erano alcuni religiosi di altri Istituti, della stessa “estrazione”, che furono fucilati insieme; però, per il domicilio che diede questo testimone, pare che fu il P. Provinciale degli Oblati il protagonista di questo gesto. Altri vorrebbero attribuirlo al P. Avelino, Provinciale degli Agostiniani.
         
     Il neo sacerdote Gregorio Escobar aveva scritto alla sua famiglia: “Sempre mi hanno commosso fino al più profondo dell’animo i racconti dei martiri che sono sempre esistiti nella Chiesa, e mentre li leggo sento  un segreto desiderio di andare incontro alla stessa sorte. Sarebbe questo il miglior sacerdozio a cui potrebbero aspirare tutti i cristiani: offrire tutti a Dio il proprio corpo e sangue in olocausto per la fede. Che fortura sarebbe morir per Cristo!
È documentato nel processo diocesano che tutti morirono facendo professione e fede e perdonando ai carnefici e che, malgrado le torture psicologiche subite durante la crudele prigionia nessuno apostatò, né perse la fede, né si lamentò di aver abbracciato la vocazione religiosa.         
     Per questo, in perfetta unanimità, i loro familiari, gli Oblati e il popolo cristiano, convinti della loro fedeltà fino alla morte, li hanno tenuti per martiri fin dal primo momento e chiedono a Dio perché la Chiesa li riconosca e li additi ai fedeli come autentici martiri cristiani.
La causa di canonizzazione, che nella fase diocesana si chiuse a Madrid l’11 gennario del 2000, è depositata ora a Roma e aspetta la decisione della santa Sede per includere nel catalogo dei martiri questi 22 Oblati Servi di Dio.

Per ulteriori informazioni:
Postulazione Generale OMI, Via Aurelia 290 Roma C.P. 9061, 00100 Roma-Aurelio, Italia. Email:[email protected]

          Abbiamo a disposizione un libretto di 52 pagine, preparato dal P. Pablo FernándezOblación, Mártires Oblatos, Madrid 1998. C’è ancora un libro di Antonio Jambrina Calvo, Mis años oblatos, che si può chiedere alla casa provinciale: Diego de León 36 bis, 28006 Madrid (Spagna). Tel + 91 411 12 12.         
     Abbiamo inoltre un Bollettino informativo di questa Causa dal titolo Mártires Oblatos che è diffuso sia via internet che per stampa, gli interessati possono chiederlo sia alla casa provinciale di Spagna che alla Postulazione di Roma (vedi sopra).

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